«Di parola se ne fanno tante ma di fatti ne vedo pochi»: è la denuncia del vescovo Gianrico Ruzza sul disagio giovanile nella città di Civitavecchia. Il presule ha presieduto la celebrazione eucaristica nella chiesa cattedrale in occasione della«Festa per la vita ritrovata» della Comunità Il Ponte.
Sabato scorso, 30 settembre, dieci giovani della comunità, tra cui tre ragazze madri, hanno terminato il programma terapeutico per tornare alle loro famiglie dopo alcuni anni di percorso.
«Noi adulti abbiamo tante colpe nei confronti dei ragazzi, perché non abbiamo fatto quanto nelle nostre possibilità. Lo dico per ognuno di noi, ma soprattutto per le autorità» ha detto il vescovo durante l’omelia. «Di questo – ha poi aggiunto – ci verrà chiesto conto nel giorno del giudizio».
«Non è vero che il fenomeno delle dipendenze non si possa arginare, ne sono convinto e don
Egidio Smacchia lo sapeva bene» ha detto Ruzza ricordando il fondatore della Comunità Il Ponte.
«Ha posto un germe – ha ricordato il presule – per dire che di fronte a un dramma si può dare un segno di speranza. Quella di don Egidio è una grande profezia che fa onore a questa città e a questa Chiesa. Ciò non toglie le responsabilità sociali e istituzionali che ci sono dietro».
Monsignor Ruzza ha annunciato l’impegno della diocesi verso il mondo giovanile, così come emerso dal cammino sinodale,in particolare con la realizzazione di alcune unità di strada per giovani a rischio, che verranno sperimentate prima nella città di Ladispoli e poi anche a Civitavecchia. Il 16 novembre, inoltre, su questo tema si confronteranno le due diocesi unite insieme ad esperti in un convegno a Ladispoli.
«Gesù – ha detto il vescovo rivolgendosi ai giovani della comunità – si offre e con il suo sacrificio distrugge il potere della morte e riapre la speranza per tutti, da cui nessuno è escluso».
«Chi pensa di escludere qualcuno – ha sottolineato -, non ha capito il Vangelo. Tutti possiamo essere accolti, incontrati e salvati nel rapporto forte e personale con la Parola di Dio».
«Oggi – ha concluso Ruzza -ascoltiamo storie di vite belle che con un programma sono state riportate alla speranza: in quel progetto c’è anche la Parola di Dio nella sua traduzione concreta che è l’amore».
Durante la cerimonia di graduazione, al termine della Messa, i dieci ragazzi insieme agli operatori e ai volontari hanno testimoniato il loro percorso.È stato il presidente della Comunità, l’avvocato Pietro Messina, a spiegare il significato della cerimonia. «È una manifestazione fortemente voluta da don Egidio per fare rientrare i ragazzi alla vita familiare e a quella cittadina dalla porta principale, come giovani coraggiosi che sono riusciti a superare una prova difficile. Noi intendiamo continuare in questo progetto che ci caratterizza». Per tutti i graduati c’è stato il dono di un orologio, per riflettere sull’uso del tempo e sulle scelte future. «Cerco di non pensare mai a quello che ero prima della comunità – ha detto una delle ragazze che hanno terminato il percorso -, un vuoto incolmabile e la ricerca continua di qualcosa con cui riempirlo. Per questo mi sono approcciata subito alle sostanze: a dodici anni gi
fumavo canne e mi sballavo con l’alcool. Ho continuato altri tre anni a sfidare la morte per sentirmi viva, prima di essere portata in comunità».
I graduati sono stati accompagnati sull’altare da operatori e volontari, ognuno con quello che è stato il loro punto di riferimento in questi anni, figura che ha svolto un ruolo fondamentale nel riavvicinamento
con la famiglia di origine.«Sono stati quella persona amica che a volte è mancata» ha detto Erica, una delle giovani mamme che ha terminato il programma Coccinella. «Grazie al loro ho iniziato a capire cosa vuol dire proteggere e cosa vuol dire invece difendersi».
Laura, una delle operatrici della comunità, ha ricordato cosa caratterizza il programma del Ponte: «Insieme si può, diceva donEgidio, e questo mi ha fatto appassionare a questo lavoro».

 

 

Avvenire Domenica 8 ottobre 2023

di Alberto Colaiacomo