Si celebra oggi, tra incontri dibattiti e iniziative di sensibilizzazione sul tema, la Giornata internazionale di lotta alla droga in uno scenario di drammatica emergenza sul fronte dei consumi: secondo l’ultima Relazione europea sono 3,7 milioni le persone che fanno uso di cocaina, sebbene la cannabis mantenga il suo primato come sostanza illecita più usata nel Vecchio Continente (22,6 milioni di europei la utilizzano). Nella cornice di riflessione proposta dall’Onu, che ha scelto lo slogan #Peoplefirst, si inserisce anche l’appuntamento organizzato oggi pomeriggio a Roma, nell’aula dei Gruppi parlamentari della Camera, a cui parteciperà il mondo intero delle comunità e dei servizi con decine di testimonianze, e tra gli altri il presidente della Camera Lorenzo Fontana, il ministro per lo Sport e i giovani Andrea Abodi, il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Alfredo Mantovano. A chiudere l’incontro sarà la premier, Giorgia Meloni.
A 13 anni sulle strade di Pescara c’è Cristian, col suo zainetto in spalla. È poco più d’un bambino quando gli amici più grandi per gioco gli fanno provare uno spinello. Sono gli unici che gli danno retta in un mondo che ancora non capisce, e la droga nella sua vita la prima volta entra così. Per gioco e per dispetto, per noia e per provare a sembrare più grande. Dimenticate i supercattivi e i supereroi, gli youtuber col conto in banca a 5 zeri e le Lamborghini da clic: la generazione che le dipendenze si stanno inghiottendo, nell’Italia che di dipendenze si ostina a parlar solo quando succede qualcosa di clamoroso e tragico, ha il volto normalissimo di questo ragazzino di provincia. Non fosse la storia di quasi il 18% degli studenti tra gli 11 e i 18 anni, e che nell’ultimo anno ammettono candidamente di aver fatto uso almeno una volta di una sostanza (ma molti di due sostanze, o tre, o più insieme), si potrebbe persino far finta di niente.
Ma i numeri fotografati dall’ultima Relazione al Parlamento del Dipartimento politiche antidroghe, che tra l’altro sono fermi al 2021, sono anche clamorosamente sottostimati. Perché solo a guardare il saldo delle vittime di incidenti stradali, negli ultimi mesi, andrebbero almeno decuplicati. Le dipendenze sono una malattia nel nostro Paese e i sintomi li vediamo esplodere sulla pelle dei più piccoli, travolti dai disturbi alimentari e dalla depressione, dalle violenze e dall’autolesionismo. Stanno male, si ripete, e nulla o quasi si fa per curarli.
La storia di Cristian li condensa tutti. Lui la ripercorre seduto in macchina, alla vigilia della Giornata mondiale contro le droghe, vicino alla sua casa di Alba Adriatica, dov’è tornato a vivere oggi che di anni ne ha 20. Gli avevano chiesto di raccontarla nell’aula dei Gruppi parlamentari, dove per l’occasione domani siederanno ministri, sottosegretari, personaggi famosi del mondo dello sport e dello spettacolo e anche la premier, Giorgia Meloni. «Non me la sono sentita, per rispetto di mio padre che lavora nelle forze dell’ordine. La mia famiglia ha già sofferto troppo». Ed eccolo qui, il ragazzo perduto che rubava i soldi da casa per comprare la cannabis, e poi a 14 anni la cocaina, e a 15 l’eroina da fumare, «una spirale in cui ho perso tutto, ogni riferimento ed ogni priorità. Non contavano più nemmeno le persone, contava solo la droga». La dipendenza diventa presto spaccio, la scuola un ricordo lontano, la vita tutt’uno con la strada. Finché il primo amico, Matteo, muore di overdose. Ciò che – giusto per continuare a dare i numeri – l’anno scorso, sempre nel nostro Paese, è successo quasi a due persone ogni giorno. «È stato in quel momento che ho iniziato ad avere paura». Cristian torna da suo padre Giuseppe, spezzato dalla vicenda del figlio che lo ha ricoperto di vergogna anche nella caserma in cui lavora, e chiede aiuto. Lo trova, nonostante tutto. Decidono di rivolgersi al Serd, il primo punto di approdo per oltre 124mila persone nella stessa situazione di Cristian. Poi agli psicologi, poi – lì dove arrivano soltanto in 14mila ogni anno – a una comunità di recupero. E la vita finalmente ricomincia, il 13 agosto del 2019, al “Ponte” di Civitavecchia, una delle 45 strutture gestite dalla Fict (che si fa carico del 34% degli utenti in comunità da Nord a Sud). «Il percorso è durissimo. Inizia con 6 mesi di accoglienza, poi procede con 24 mesi di comunità vera e propria. Per me è stato tutto quello che non volevo, all’inizio: il ritorno alle regole, il ritorno al me stesso lucido, a quello che ero prima». Anche la famiglia di Cristian, con papà Giuseppe, inizia il suo percorso: «Per la prima volta capivamo cosa gli era successo, fin dove si era spinto col consumo di sostanze, che cosa avevamo sbagliato». Dietro a un ragazzo con una dipendenza c’è sempre una famiglia in frantumi, impotente, spesso lasciata sola. E la droga, come l’alcolismo o l’azzardo, porta con sé effetti collaterali devastanti se non intercettati anche a livello familiare, con percorsi di accompagnamento dedicati. Difficilissimi da cercare e da ottenere.
I confronti e i colloqui si rincorrono, gli anni passano, arriva anche il Covid, il lockdown, la paura di non riuscire a tornare mai, la speranza di poter essere qualcos’altro, «qualcosa di diverso dalla droga». Cristian studia, recupera gli anni di scuola persi, consegue la maturità a giungo 2021 e finalmente a gennaio 2022 esce dalla comunità, col sogno di diventare operatore socio-sanitario prima, infermiere poi. E con una fidanzata con cui progetta un futuro. Oggi papà Giuseppe è orgoglioso di lui, «perché si può cascare ma l’importante è risollevarsi. La sua storia è quella di una nave in tempesta che ha trovato prima la rotta, poi un porto sicuro e che ora è tornata in mare aperto». Per il lieto fine è servito guardare alla persona: #People first non a caso è il motto scelto quest’anno dall’Onu per celebrare la Giornata di lotta alla droga, «perché per troppi anni abbiamo ragionato sulla sostanza con battaglie ideologiche assurde, dimenticando le persone» rimarca il presidente della Fict, Luciano Squillaci. E poi ripartire dalle relazioni, in un cammino che prima d’essere terapeutico deve diventare educativo, «trasmettendo ai nostri ragazzi una rinnovata prospettiva di senso». Senza cui la droga – ma anche il bullismo, le challenge sui social network, le violenze contro un clochard o le aggressioni a un’insegnante – rischiano di averne. Almeno per i più fragili.
Avvenire Lunedi 26/06/2023 Viviana Daloiso